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      In quel tempo, inoltre, feci tre scoperte: primo, che la signora Crupp era martire d’una strana infermità chiamata «spasimo», generalmente accompagnata da arrossamento del naso, che doveva esser costantemente combattuta con l’assenzio; secondo, che qualche cosa di speciale nella temperatura della mia cucina faceva sempre scoppiare le bottiglie d’acquavite; terzo, che ero solo al mondo, e spesso occupato a ricordare questa circostanza in frammenti di poesia inglese.
      Il giorno che fui allogato presso Spenlow e Jorkins, non lo festeggiai che col far portare per gli impiegati dello studio dei panini gravidi e del vino di Jerez, e con l’andare a teatro la sera. Fui a vedere Lo «straniero», una specie di dramma alla Doctor’s Commons, che mi ridusse in tale stato che, tornando a casa, appena mi riconobbi allo specchio. Il signor Spenlow osservò, alla conclusione del nostro contratto, che sarebbe stato felice di vedermi in casa sua a Norwood per festeggiare le relazioni che s’erano strette fra noi; ma il suo impianto domestico non era ancora in perfetto assetto, perché aspettava il ritorno della figliuola recatasi a Parigi a compiere la sua educazione. Aggiunse però che al ritorno della figliuola egli si riprometteva il piacere di ricevermi sotto il suo tetto. Sapevo che era rimasto vedovo con un’unica figlia; e lo ringraziai per la sua benevolenza.
      Il signor Spenlow mantenne la promessa. Una quindicina di giorni dopo, ricordando le sue parole, mi disse che se avessi voluto fargli il favore di andar giù a Norwood il prossimo sabato, per starvici fino al lunedì, ne sarebbe stato sommamente felice.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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