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      Nella prima settimana della mia passione, comprai quattro magnifiche sottovesti – non per me, ché non vi mettevo alcun orgoglio: per Dora – e cominciai a portare a passeggio dei guanti color paglia, e gettai allora le fondamenta di tutti i calli ai piedi dei quali poi sarei stato martire. Se le scarpe che portavo allora potessero esser viste ora e confrontate con le dimensioni naturali dei miei piedi, dimostrerebbero, in commovente maniera, quale fosse allora lo stato del mio cuore.
      E pure, disgraziato storpio come mi riducevo con quell’atto d’omaggio a Dora, camminavo miglia e miglia tutti i giorni nella speranza di vederla. Non solo divenni subito notissimo sulla strada di Norwood, come i portalettere che la battono di continuo, ma invasi parimenti Londra. M’aggiravo per le vie dove erano i più eleganti negozi di mode, frequentavo il Bazar come uno spirito irrequieto, mi stremavo attraverso il Parco per ore ed ore, dopo che m’ero già spiedato. A volte, a lunghi intervalli e in rare occasioni, la incontravo. Forse la vedevo accennare con la mano inguantata dallo sportello d’una carrozza; forse la incontravo, facevo quattro passi con lei e la signorina Murdstone, e le dicevo qualche parola. Nell’ultimo caso, dopo mi sentivo sempre infelice, pensando di non averle detto nulla di importante; o che essa non avesse la minima idea dell’immensità della mia devozione, e non si curasse affatto di me. Aspettavo continuamente, come è facile immaginare, un nuovo invito a casa del signor Spenlow.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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