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      Diceva tutto senza affettazione, con una tenerezza semplice e modesta, che sapevo sincera, e finiva con i «miei doveri al sempre diletto mio», che ero poi io.
      Mentre decifravo la lettera, Steerforth continuava a mangiare e a bere.
      – È triste – egli disse, quando ebbe finito – ma il sole tramonta ogni giorno, e la gente muore ogni minuto, e non dobbiamo aver paura d’una sorte comune a tutti. Se noi trascurassimo di seguir la nostra sorte particolare, perché quel piede che batte egualmente alle porte di tutti gli uomini è stato sentito battere in qualche parte, ogni oggetto a questo mondo ci si dileguerebbe in mano. No! Avanti! Col cavallo ferrato a ghiaccio, se è necessario, col cavallo senza ferri, se occorre, ma avanti! Scavalchiamo tutti gli ostacoli per vincere il palio.
      – Che palio? – dissi.
      – Quello che è nel nostro pensiero – egli disse. – Avanti!
      Osservai, ricordo, quando s’interruppe, e mi guardò con la testa tirata un po’ indietro, e il bicchiere sollevato in mano, che, sebbene egli avesse sul florido viso la freschezza del vento marino, vi si scorgevano tracce, che non vi si osservavano l’ultima volta, di qualche assiduo, insolito sforzo di quella sua fervida energia, che, quando era eccitata, si ridestava in lui con impeto così violento. Avevo in animo di fargli qualche rimostranza per la maniera disperata con cui si dava all’ultima mania che lo assaliva – come quella, per esempio, di sfidare il mare cattivo, e di affrontare le burrasche – quando la mia mente si volse al primo argomento della nostra conversazione, e gli dissi:


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





Steerforth