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      In uno stato di abbattimento che non ricordo con gran soddisfazione, perché si riferiva unicamente a me (benché in relazione con Dora), lasciai lo studio e mi diressi a casa.
      Cercavo d’abituar lo spirito al peggio che mi sarebbe potuto accadere, e a pensare ai provvedimenti da prendere per il triste ed oscuro avvenire, quando una vettura da nolo, che mi seguiva e si fermò accanto a me, mi fece alzare gli occhi. Una bella mano mi veniva tesa dallo sportello, e quel volto che non avevo mai veduto senza un sentimento di serenità e di felicità, dall’istante che prima s’era voltato sull’antica scala di quercia con la grande e larga balaustrata, quel volto che avevo paragonato per la sua calma bellezza a una immagine dei finestroni di cattedrale, mi salutava col suo sorriso.
      – Agnese! – esclamai con gioia. – Oh, mia cara Agnese, che piacere di rivedervi! Nessuno al mondo me ne darebbe tanto.
      – Veramente? – ella disse, nel tono più cordiale.
      – Ho bisogno tanto di parlarvi – le dissi. – Mi s’alleggerisce il cuore soltanto a guardarvi. Se avessi avuto una bacchetta magica, non avrei evocato che voi.
      – Come? – rispose Agnese.
      – Sì, forse Dora prima – ammisi, arrossendo.
      – Certo, Dora prima, spero – disse Agnese, ridendo.
      – Ma voi dopo – dissi. – Dove andate? Era diretta a casa mia per fare una visita a mia zia. La giornata era così bella, ed ella fu contenta di scendere dalla vettura, che odorava (avevo cacciato dentro la testa nel frattempo) come una scuderia messa sotto una gran campana di vetro.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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