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      Mia zia mi parlò favorevolmente del Tamigi (infatti, se non era bello come il mare innanzi al villino, in realtà faceva un magnifico effetto sotto la luce del sole), ma non poté mostrarsi dolce verso il fumo di Londra, che, essa diceva, «metteva del pepe su tutto». Una rivoluzione completa, nella quale Peggotty ebbe la massima parte, fu portata in ogni angolo della mia camera, per snidar quel pepe; ed io, guardandola, pensavo quanto poco sembrava facesse la stessa Peggotty col massimo trambusto, e il molto invece che faceva Agnese senza alcun trambusto, quando alla porta si sentì picchiare.
      – Credo – disse Agnese, diventando pallida – che sia papà. M’ha promesso che sarebbe venuto.
      Aprii, e vidi entrare non soltanto il signor Wickfield, ma Uriah Heep. Da parecchio non avevo veduto il signor Wickfield, e m’attendevo di trovare un gran mutamento in lui, da quanto mi aveva detto Agnese, ma ebbi dal suo aspetto un’impressione dolorosa.
      Non che sembrasse, vestito ancora con la stessa sua nettezza scrupolosa, molto vecchio; non perché avesse in viso un rossore morboso, e avesse gli occhi gonfi e iniettati di sangue, e le mani con un tremito nervoso, la cui causa avevo per parecchi anni seguita. Neppure perché avesse perduto la sua buona grazia, o il suo antico portamento di gentiluomo, che era sempre lo stesso; ma perché c’era in lui, pur coi segni evidenti della sua ingenita superiorità, una manifesta sottomissione a quella strisciante incarnazione della bassezza che era Uriah Heep.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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