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      Non mostrerei troppo ardore – disse dolcemente Agnese – né molte esigenze. Confiderei nella mia fedeltà e nella mia tenacia... e in Dora.
      – Ma se esse dovessero spaventar di nuovo Dora con le loro parole? – dissi. – E se Dora si mettesse a piangere, e non dovesse dir nulla di me?
      – È verosimile? – chiese Agnese, e aveva nel volto la sua quieta considerazione.
      – Dio la benedica, è più timida d’un uccellino! – dissi. – Forse di sì. O se le due signorine Spenlow (le zitellone di quella specie a volte sono così strane) trovassero sconveniente la mia domanda?
      – Non credo, Trotwood – rispose Agnese, fissando i suoi dolci occhi nei miei – che quanto a questo bisogni temer molto. Forse sarebbe meglio considerar soltanto ciò che è giusto di fare, e farlo.
      Non avevo più alcun dubbio di sorta. Col cuore più leggero, benché con un profondo senso dell’importanza del mio compito, dedicai tutto il pomeriggio alla composizione della minuta della lettera; e per questo gran compito Agnese mi aveva lasciato il suo tavolino. Ma prima andai a visitare il signor Wickfield e Uriah Heep.
      Uriah occupava un nuovo ufficio, ancora odoroso di calce, costrutto nel giardino. Egli mi parve straordinariamente meschino, fra quella gran quantità di libri e di carte. Mi ricevette con la sua solita servilità, e finse di non aver saputo del mio arrivo dal signor Micawber; cosa di cui mi presi la libertà di dubitare. Mi accompagnò nella stanza del signor Wickfield, che era diventata l’ombra di quel che era una volta, spogliata com’era d’un gran numero di arredi passati in servizio del nuovo socio.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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