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      Se potessi vedere Uriah bene accasato, non desidererei altro, vi assicuro. Come vi pare che stia il mio Uriah, signore?
      L’avevo trovato più repugnante del solito, e risposi che non m’era parso in nulla mutato.
      – Oh, non credete che sia mutato? – disse la signora Heep. – Modestamente mi dovete permettere di pensarla diversamente da voi. Non vi sembra dimagrato?
      – Non più del solito – risposi.
      – Veramente! – disse la signora Heep. – Ma voi non lo guardate con l’occhio d’una madre.
      L’occhio d’una madre mi parve fosse un malocchio per il resto del mondo, allorché ella lo volse su di me, per quanto potesse essere tenero per lui; perché credo che suo figlio e lei si volessero un gran bene. Quell’occhio mi lasciò da parte e si diresse ad Agnese.
      – Non vedete che si macera e si consuma, signorina Wickfield? – chiese la signora Heep.
      – No – disse Agnese, continuando tranquillamente a lavorare. – Voi siete sempre inquieta sulla sua salute, ma egli sta benissimo.
      La signora Heep trasse poderosamente il fiato per le narici, e riprese il suo lavoro a maglia.
      Ella non lasciò né il suo lavoro, né noi per un sol momento. Ero arrivato presto la mattina, e prima d’altre tre o quattro ore non si sarebbe desinato; ma ella non si moveva, continuando ad agitare i ferri con la monotonia con la quale un orologio a polvere versa la sua sabbia. Era seduta in un cantuccio del caminetto; io sedevo al tavolinetto di fronte; Agnese era dall’altro lato, non lungi da me. Tutte le volte che levavo gli occhi, mentre componevo lentamente la mia epistola, vedevo innanzi a me il volto pensoso d’Agnese, che mi faceva coraggio con la sua dolce e angelica rassegnazione; ma sentivo nello stesso tempo il malocchio che mi fissava, per dirigersi poi su Agnese, e ritornare su di me, e cader furtivamente sul lavoro a maglia.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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