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      L’omnibus ci doveva deporre vicino a Covent Garden, dove si doveva prenderne un altro per Highgate. Ero impaziente di sentire in quel breve tratto Agnese lodare Dora. Ah, quali parole! Con quanto fervore e amorevolezza ella levò a cielo la bella creatura conquistata, con tutte le sue innocenti grazie, alle mie più soavi cure. Con quanto tatto mi parlò, senza averne l’aria, della responsabilità che m’ero assunto per quella cara orfana.
      Non avevo mai, mai, voluto tanto bene a Dora come quella sera. Quando scendemmo dalla vettura, e ci avviammo alla luce delle stelle verso la casa del dottore, dissi ad Agnese che dovevo a lei quella felicità.
      – Quando eravate seduta accanto a lei – le dissi – mi siete apparsa non soltanto come il mio, ma anche come il suo angelo tutelare; e così m’apparite ancora, Agnese.
      – Un povero angelo – rispose – ma fedele. Il chiaro tono della sua voce, che mi andò dritto al cuore, mi spinse naturalmente a dire:
      – La serenità che è una vostra dote particolare, e soltanto vostra, Agnese, m’è parsa oggi l’abbiate riacquistata tutta, e perciò ho cominciato a sperare che in famiglia siate più felice.
      – Son più felice in me – ella disse: – ho il cuore calmo e leggero.
      Diedi uno sguardo al viso sereno che fissava il cielo, e pensai che fossero le stelle a farlo apparir così nobile.
      – A casa non vi è stato alcun cambiamento – disse Agnese, dopo pochi momenti.
      – Nessun’altra allusione – dissi – a... Non vorrei rattristarvi, Agnese, ma non posso fare a meno dal domandarvelo.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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