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      – Non ho altro da fare che sopportare, con la massima sottomissione, la conoscenza dell’infelicità di cui sono stato l’origine. È lei che dovrebbe rimproverare me, non io lei. È mio dovere ora di proteggerla dal sospetto, dal crudele sospetto, che neppure i miei amici hanno potuto evitare. Più noi vivremo in solitudine, e più questo compito mi sarà facile. E quando verrà il tempo – e venga presto, per grazia del Signore misericordioso! – che la mia morte la libererà dal giogo, io chiuderò gli occhi, dopo aver contemplato il suo volto onesto, con illimitata fiducia e illimitato amore; e la lascerò, senza tristezza allora, perché viva giorni più felici e radiosi.
      Le lagrime m’impedivano di vederlo; tanta bontà, semplicità e forza m’avevan commosso fin nel profondo. Egli s’era avviato alla porta, quando aggiunse:
      – Signori, vi ho mostrato il cuor mio. Son certo che lo rispetterete. Ciò che ho detto stasera non dev’essere ripetuto. Wickfield, mio vecchio amico, aiutatemi ad andar su.
      Il signor Wickfield accorse subito. Senza scambiarsi una parola, uscirono insieme, seguiti dallo sguardo di Uriah.
      – Bene, signorino Copperfield! – disse Uriah, volgendosi benignamente verso di me. – La cosa non ha preso la piega che avevo sperato; perché questo vecchio sapiente – che eccellente uomo! – è cieco come un pipistrello; ma non importa, ecco una famiglia messa a posto.
      Non occorreva che il suono della sua voce per farmi montare in una collera della quale non ho mai conosciuta l’eguale, né prima, né dopo.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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