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      Poi l’apriva al punto reso leggibile da Jip la sera innanzi, e chiamava Jip per fargli contemplare i suoi misfatti. Ne risultava un diversivo a vantaggio di Jip, e a suo svantaggio, un po’ di inchiostratura al muso, per punizione, forse. Poi ordinava a Jip di coricarsi sul tavolo, all’istante, «come un leone» – che era uno dei suoi giuochi, benché non si possa dire che l’imitazione fosse molto felice – e se esso era in umore di ubbidire, ubbidiva. Poi ella riprendeva la penna, e cominciava a scrivere, e vi trovava un capello. Poi prendeva un’altra penna, e cominciava a scrivere, e trovava che faceva degli sgorbi. Poi prendeva un’altra penna, e cominciava a scrivere, e diceva sottovoce: «Oh, che scricchiolìo! Disturberà Doady!». E poi rinunziava a scrivere come a un’impresa impossibile, e metteva da parte il Libro dei conti, dopo aver fatto con esso l’atto di volere schiacciare il leone.
      Oppure, se era in una condizione di spirito grave e posata, si metteva davanti il taccuino e un panierino di fatture e d’altri documenti, che avevano piuttosto l’aria di cartucce da arricciare i capelli che di liste e di conti, e si sforzava di trame qualche risultato. Dopo averli rigorosamente paragonati l’un con l’altro, avere scritto qualche riga sul taccuino, averla cancellata, aver contato e ricontato parecchie volte tutte le dita della sinistra da un lato e dall’altro, si mostrava così infastidita e smarrita, aveva tanta tristezza in viso, che mi faceva pena vederlo oscurato da una nube – e per cagion mia!


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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