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      – e me le avvicinavo pianamente e le dicevo:
      – Che hai, Dora? Dora levava gli occhi disperata e rispondeva:
      – Non vogliono andar bene. Mi fanno tanto male alla testa. E non vogliono far nulla di ciò che desidero.
      Allora dicevo:
      – Proviamo insieme. Guarda, Dora.
      E cominciavo una dimostrazione pratica, alla quale Dora prestava la più profonda attenzione, per la durata, forse, di cinque interi minuti; e poi cominciava a sentirsi orribilmente stanca, e alleggeriva l’argomento arricciandomi i capelli, o ripiegandomi il collo della camicia per vederne l’effetto sul mio viso. Se tacitamente frenavo la sua giocondità continuando la mia dimostrazione, ella mi faceva una faccia così sgomenta e desolata, e gradatamente diventava così sconvolta, che il ricordo della sua gaiezza al tempo che i miei passi s’erano smarriti sulla sua via, e il sentimento ch’ella era mia moglie-bimba, avevano su di me il potere d’un rimprovero, e deponevo la penna dicendo a Dora di prendere la chitarra.
      Io avevo molto da fare ed ero in preda a molti affanni, ma per la stessa ragione glieli tenevo celati. Son lungi dal ritenere, ora, che facessi bene a non rivelarglieli, ma li nascondevo per il bene che volevo a mia moglie-bimba. Mi guardo in cuore, e ne affido i segreti senza alcuna riserva a questa carta. So che sentivo la mancanza di qualche cosa, ma non così da amareggiarmi la vita. Quando passeggiavo solo nei giorni di bel tempo, e pensavo ai giorni d’estate in cui l’aria sembrava piena del mio giovine amore, avvertivo la mancanza di qualche cosa nell’incarnazione dei miei sogni; ma pensavo che altro non fosse che un’ombra attenuata della radiosa gloria del passato che nulla avrebbe potuto riversare sul presente.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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