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      XLVII.
      MARTAEravamo nel quartiere di Westminster. L’avevamo incontrata diretta alla nostra volta, ed eravamo tornati indietro per seguirla: presso l’abbazia di Westminster ella aveva lasciato lo strepito e i lumi delle vie frequentate. Andava innanzi così veloce, dopo esser uscita dalle due correnti di passanti che vanno e vengono sul ponte, che riuscimmo a raggiungerla solo nella stretta viuzza che rasenta il fiume presso Millbank. In quel momento la traversò, come per evitare i passi che ella udiva così da presso, e senza voltarsi neppure, accelerò ancor più la sua corsa.
      La vista del fiume a traverso il cancello d’un androne, ove stavano al riparo alcuni furgoni, mi fece cambiar d’idea. Toccai il mio compagno senza parlare, e invece di traversar il vicolo, continuammo a seguire lo stesso lato, cercando di nasconderci nell’ombra delle case, ma non perdendo d’occhio Marta.
      V’era, e v’è ancora, all’estremità di quel vicolo una tettoia in rovina, che probabilmente una volta serviva ai barcaiuoli per lo scarico dei battelli. È messa proprio nel punto dove cessa il vicolo, e comincia la strada tra una fila di case e il fiume. Non appena vi giunse e vide il fiume, ella si fermò come se avesse raggiunto la mèta; e poi si mise a camminare lentamente lungo la riva, mirando intenta l’acqua.
      Fino allora avevo creduto che ella andasse in qualche casa; anzi, avevo vagamente sperato che la casa potesse essere, chi sa mai, il rifugio della ragazza che si cercava. Ma la vista del fiume, a traverso l’androne, m’avvertì segretamente che ella non sarebbe andata più oltre.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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