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      «di Tommaso Traddles rispettosa e supplichevole amica
      «Emma Micawber».
     
      – Che ne pensi di questa lettera? – disse Traddles, levando gli occhi su di me, quando l’ebbi letta di nuovo.
      – E tu che ne pensi dell’altra? – dissi, perché egli era ancora occupato a leggerla, con le sopracciglia aggrottate.
      – Credo che tutte e due, Copperfield – rispose, Traddles – vogliano dir più di quanto il signore e la signora Micawber di solito dicono nella loro corrispondenza... ma veramente non mi riesce d’indovinare. Sono entrambe scritte in buona fede, certo, e senza secondi fini. Poveretta! – egli disse alludendo alla lettera della signora Micawber, mentre l’uno accanto all’altro confrontavamo i due fogli; – sarà un atto di carità scriverle, a ogni modo, e assicurarle che non mancheremo di vedere il signor Micawber.
      Acconsentii tanto più volentieri in quanto mi rimproveravo d’aver trattato un po’ troppo leggermente la prima lettera di quella povera donna. Ci avevo pensato molto al tempo che l’avevo ricevuta, come ho già detto a suo luogo: ma le mie occupazioni personali, la mia esperienza della famiglia, e il non averne saputo più nulla, avevano a poco a poco finito col farmi dimenticare la cosa. Avevo spesso pensato ai Micawber, principalmente domandandomi quali «obbligazioni finanziarie» stessero contraendo a Canterbury e perché il signor Micawber, diventato segretario di Uriah Heep, si fosse dimostrato così impacciato con me.
      Comunque, scrissi una lettera di conforto alla signora Micawber, in nome mio e in nome di Traddles, e la firmammo entrambi.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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