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      Mia zia fece lo stesso. Spirato quel termine, Traddles le diede il braccio; e ci avviammo tutti insieme a casa di Wickfield, senza dire una parola durante il cammino.
      Trovammo il signor Micawber seduto alla sua scrivania, nella stanza rotonda a pianterreno, e occupato attivamente, o fingendo d’essere occupato, a scrivere. Aveva la grossa riga dello studio ficcata nella sottoveste, e non l’aveva così ben nascosta che non si vedesse uscirne fuori per più d’un palmo, come una gala di nuovo genere.
      Siccome mi sembrò che dovessi parlar io, dissi ad alta voce:
      – Come state, signor Micawber?
      – Signor Copperfield – disse il signor Micawber, gravemente – spero che voi stiate bene.
      – È in casa la signorina Wickfield? – dissi.
      – Il signor Wickfield sta a letto, signore, con una febbre reumatica – egli rispose – ma la signorina Wickfield sarà felicissima, non ne dubito, di rivedere i suoi vecchi amici. Favorite.
      Egli ci precedette nella sala da pranzo – la prima stanza da me veduta in quella casa – e spalancando la porta di quella che aveva servito da studio del signor Wickfield, disse, con voce sonora:
      – La signora Trotwood, il signor Davide Copperfield, il signor Tommaso Traddles e il signor Dixon.
      Non avevo veduto più Uriah Heep dal giorno in cui gli avevo dato uno schiaffo. La nostra visita lo sorprese, evidentemente, forse anche perché sorprendeva noi stessi. Egli non raccolse le sopracciglia, perché non ne aveva da raccogliere, ma raggrinzò la fronte quasi in maniera da chiudere i piccoli occhi, mentre si portava la mano cartilaginosa al mento con un gesto d’ansia e di stupore.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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