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      Sarei corso a Lowestoft per impedirglielo e condurlo con me, se mi fosse stato risposto che la cosa non era improbabile.
      Ordinai in fretta il desinare, e tornai al cantiere. Arrivai a tempo; il costruttore, con una lanterna in mano, stava chiudendo il cancello del cortile. Egli si mise a ridere, alla mia domanda, e disse che un timore di quella specie era assurdo: un matto, ch’era un matto, non si sarebbe mai imbarcato con una burrasca simile, e tanto meno Cam Peggotty, che sapeva che fosse il navigare.
      Sicuro di questo già prima, tanto che in realtà mi ero sentito vergognoso di fare ciò che pur nondimeno ero stato costretto a fare, ritornai all’albergo. Non sembra credibile, ma il furore del vento era ancora aumentato. L’urlo e il muggito, lo strepito delle porte e delle finestre, i gemiti nei camini, il forte scotimento della casa che mi albergava, e il prodigioso tumulto del mare, erano più terribili che nella mattina; e la oscurità aggiungeva alla tempesta nuovi terrori reali o immaginari.
      Io non potevo mangiare, non potevo star fermo, non potevo far nulla. Qualche cosa entro di me, in rispondenza con la tempesta che infuriava al di fuori, agitava tumultuosamente le profondità della mia memoria. Pure, nonostante lo scompiglio dei miei pensieri agitati come il mare ruggente, nulla riusciva a togliermi di mente la formidabile burrasca e l’ansia sulla sorte di Cam.
      Mandai via le vivande quasi senza toccarle, e tentai di rinforzarmi con un paio di bicchieri di vino. Invano. M’assopii innanzi al fuoco, pur con la sensazione della tempesta che infuriava al di fuori e del luogo dove mi trovavo.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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