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      Mi oppresse nel sonno un indefinibile orrore, e svegliandomi – o meglio scotendomi dalla letargia che mi legava alla sedia – tremavo tutto, invaso da una paura inesplicabile.
      Passeggiai su e giù per la stanza, tentai di leggere una vecchia guida, tesi l’orecchio al tremendo rumore: guardai i grotteschi, le scene e le figurazioni dei carboni. Finalmente, il monotono tic-tac dell’orologio, indisturbato sulla parete, m’infastidì tanto che risolsi d’andare a letto.
      In una notte simile, m’ispirò una certa tranquillità l’apprendere che alcuni dei camerieri dell’albergo avevano deciso di vegliare fino alla mattina. Andai a letto, con un senso di stanchezza e d’oppressione; ma non appena sotto le coltri, la stanchezza e l’oppressione svanirono come per incanto, e rimasi sveglio, nella pienezza di tutti i miei sensi.
      Giacqui così per ore, in ascolto del vento e del mare, figurandomi ora d’udir delle grida in lontananza, ora più distintamente le salve dei cannoni, che domandavan soccorso, e ora i crolli delle case in città. Mi levai parecchie volte, e guardai fuori; ma non potei veder nulla, tranne il riflesso nei vetri della finestra della fioca candela che avevo lasciata accesa e quello della mia stessa effigie sconvolta che mi guardava dalla tenebra.
      Finalmente la mia irrequietudine fu tale, che mi vestii rapidamente e andai da basso. Nella spaziosa cucina, dalle cui travi pendevano pezzi di lardo e mazzi di cipolle, vegliavano le persone di servizio raccolte in vari atteggiamenti intorno alla tavola, rimossa a bella posta dal camino e portata accanto all’ingresso.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261