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      Mi mettevo presto al lavoro, e lo lasciavo assai tardi, usando pazienza e perseveranza. Scrissi una novella su un soggetto offertomi dai miei casi, e la mandai a Traddles, che riuscì a farla pubblicare con gran mio vantaggio; e le prove della mia crescente celebrità cominciarono a essermi date dai viaggiatori nei quali per caso m’imbattevo. Dopo un po’ di riposo e di distrazione, mi misi a lavorare, col mio solito ardore, a una nuova fantasia, che m’attraeva moltissimo. Più andavo innanzi nel mio lavoro, e più lo sentivo, e cercavo, con maggiore energia, di farlo bene. Era il mio terzo romanzo. Non ero ancora alla metà, che, in un intervallo di riposo, risolsi di tornare in patria.
      Da lungo tempo, benché studiassi e lavorassi pazientemente, m’ero dato a robusti esercizi. La mia salute, molto scossa quando avevo lasciato l’Inghilterra, rifioriva. Avevo veduto molto, ero stato in molti paesi, e la mente mi s’era arricchita di nuove cognizioni.
      Ho raccontato ora tutto ciò che credo necessario di ricordar qui, di questo periodo di assenza... meno una circostanza. Pure non l’ho fatto col proposito di nascondere qualcosa dei miei pensieri; perché, come ho già detto altrove, queste son le mie memorie. Ho voluto serbare a parte e per la fine la corrente più segreta del mio spirito. Ci entro ora.
      Non posso penetrare così completamente nel mistero del mio cuore da poter precisare l’istante che pensai di poter fare d’Agnese l’oggetto delle mie prime e più care speranze. Non posso precisare in qual periodo della mia angoscia prima mi avvenisse di riflettere che nella mia spensierata giovinezza avevo respinto lungi da me il tesoro del suo amore.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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