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      Seguendo con gli occhi il capo cameriere, non potei fare a meno dal pensare che il giardino, nel quale egli era gradatamente cresciuto per diventar quel fiore che era diventato, era un posto nel quale non era facile crescere. Tutto vi aveva un’aria così solenne, così rigida, antica e solida. Diedi uno sguardo in giro alla stanza, che aveva il pavimento lucidato nella stessa precisa maniera, senza dubbio, di quando il capo-cameriere era ragazzo – se era stato mai un ragazzo, cosa improbabile – e ai tavoli lucenti, dove mi vedevo specchiato nelle limpide profondità del vecchio mogano; e alle belle cortine verdi, sospese ai nitidi bastoni d’ottone, che chiudevano squisitamente ogni reparto; e ai due grandi fuochi di carbone, gioiosamente ardenti; e alle schiere delle bottiglie, orgogliose come se avessero avuto coscienza d’essere dispensiere del costoso vecchio vino di Porto della cantina del sotterraneo; e veramente mi parve molto difficile prender d’assalto l’Inghilterra e la legge. Salii nella mia camera da letto a cambiarmi gli abiti, che erano umidi, e la vastità di quella stanza, tutta rivestita di legno (che era, ricordo, sull’arco che conduceva all’Inn) e la calma immensità di quella lettiera stesa su quattro pilastri, e la indomabile gravità del canterano, tutto pareva aggrottar le ciglia di concerto sull’avvenire di Traddles, e di qualunque altro giovane audace della stessa specie. Ridiscesi per desinare; e perfino il lento svolgimento del pasto e l’ordinato silenzio del luogo – che aveva pochi ospiti, perché il periodo delle vacanze non era ancora finito – sembravano parlassero dell’audacia di Traddles e delle sue poche speranze, per almeno altri vent’anni, di guadagnarsi da vivere.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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