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      Sapendo questo, caro Trotwood, sapete tutto.
      – Tutto, Agnese? – dissi.
      Mi guardò con un’espressione di palpitante meraviglia.
      – Non v’è nient’altro, sorella? – dissi.
      Il colore, che le era fuggito, riapparve, e poi si dileguò di nuovo. Sorrise, con una tranquilla melanconia, mi parve; e scosse la testa.
      Avevo cercato di condurla a ciò che mia zia aveva accennato; perché, per quanto mi dovesse essere penoso ricever quella confidenza, dovevo disciplinarmi il cuore, e fare tutto il mio dovere. M’accorsi, però, ch’ella era impacciata, e non insistei.
      – Avete molto da fare, cara Agnese?
      – Con la mia scuola? – ella disse, levando gli occhi, con tutta la sua bella serenità.
      – Sì. V’affatica molto, non è vero?
      – È una fatica così piacevole – ella rispose – che sarei quasi un’ingrata a chiamarla con questo nome.
      – Nulla di ciò che è buono, vi è difficile – dissi.
      Ella impallidì di nuovo, e ancora una volta, nell’atto che abbassava la testa, le scorsi lo stesso melanconico sorriso.
      – Aspetterete per vedere mio padre – disse Agnese, serenamente – e passerete la giornata con noi. Volete dormire nella vostra antica camera? Noi sempre la chiamiamo vostra.
      Non potevo rimanere, perché avevo promesso a mia zia di esser di ritorno la sera, ma potevo passare la giornata con loro.
      – Io debbo essere prigioniera per un po’ – disse Agnese – ma ecco qui i vecchi libri, Trotwood, e la vecchia musica.
      – Anche i vecchi fiori son qui – dissi, guardando in giro – o almeno le vecchie specie.
      – Il mio piacere è stato – rispose Agnese sorridendo – di tenere, durante la vostra assenza, tutto come soleva essere quando eravamo bambini.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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