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      Sino allora, Martino, avea corso l'àque e le terre, inquieto all'ubbìa che la presente sua stanza diventàssegli l'ùltima, àvido di contemplare la morte sotto ogni clima. Oh quanta avea accolta eredità di sospiri!... e, in slontanarsi dai funèrei letti, gemeva "uno di manco... vèr me". Ma, quando sentì che irreparàbili guasti nell'interno congegno gli minacciàvan lo sfascio, bruciò di fuggire non avvertito dal teatro del mondo, di conigliarsi in qualche oscuro cantuccio, per aspettarvi da solo lei, schivando almeno così le làgrime degli amici, il leppo dei ceri, il borbottare dei preti, tutta insomma la pompa dell'ùltimo tuffo. E comperò nel sobborgo la casina a due piani.
      Vèngono gli strasudori in pensare a quegli anni, sì brevi da lungi e così lunghi da presso, vissuti da lui, solamente con sè. Io me lo vedo, banfando a fatica, mezzo seduto su di un cadàver spaccato, a interrogare "morte, che sei?" a rovistarvi le traccie di vita, la quale vita è... Cosa? Le definizioni, molte; materialìstiche alcune; altre spiritualìstiche. E, tanto o quanto, ciascuna, per la sua strada, va; mèttile insieme, picco e ripicco.
      Disperato, allora Martino si buttava a ginocchi, supplicando quel Dio, al quale nell'ìntimo suo mai non avea creduto nè oggi pure credeva, d'incretinirlo; poi, dalla stessa viltà svergognato, spregava ansiosamente la prece. E altre volte, èccolo, con lo sguardo smarrito, dimandare a follìa quello per cui la scienza era muta; or mescidando ai fornelli indiavolate pozioni; or riunendo la volontà sua, tutta, nei più turchini scongiuri; ed ora a sfogliare con un tremore di speme, stranìssimi libri di scrittori sotterra, che a parte a parte insegnàvano e il vìvere eterno e la giovinezza perpètua.


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Vita di Alberto Pisani
di Carlo Dossi
pagine 177

   





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