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      Alt! sclama Alberto, battendo la mano sul davanzale della finestra. E pensa: quì scriverò. Quella veduta, sprona
     
      Capitolo decimo
     
      Appesa al fuoco la pèntola nella casina del mago, una settimana dopo, Alberto riusciva a coprire di nero un foglio buono di bianco; nè, rileggendo, stracciava.
      Già dissi; il nocco della difficoltà è il principio: che altro brama Arlecchino, quando vuol porre assieme una lèttera? Così, fatta una volta la prima, si va, ch'è un piacere, fino all'ùltima maglia; quel perioduccio, in cui abbiamo potuto, senza guastarla, accalappiare un'idea, ne invoglia a ripètere il gioco; le pàgine chiàman le pàgine; la stessa oltrepassata fatica, perchè non vada perduta, spìngene a nuova; e, a poco a poco, prendiamo la piega del fare; ancora un colpetto, èccoci artisti a màchina.
      E quì si nòti, come noi ci adusiamo a pensare in date ore, luoghi e posture: l'amico nostro, ad esempio, innanzi al meriggio, cammin facendo, nel camposanto.
      Pur non crediate, ch'egli là passeggiasse a covare malinconìa. Per sè, un cimitero non è nè triste nè allegro, ma, al pari del mondo su-terra, è a tratti, ora l'uno, ora l'altro. Vi ha bene il morto di fame, ma quello anche d'indigestione. Tuttavìa, ai presenti miei occhi (i quali non sono gli stessi di jeri e non saranno que' di domani) nulla il vince in grottesco: ciò, per quella propria ragione, per cui la tristezza più fieramente mi assale ove regna la gioja.
      Eppoi! sfido a tremare, innanzi a una morte in sì ridìcoli panni! Leggete quegli epitàfi; non vi pàjono, dite, una copia dell'altro? stampe di poche mòdule, non differenti che per il nome e la data?


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Vita di Alberto Pisani
di Carlo Dossi
pagine 177

   





Alberto Alberto Arlecchino