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      Queste linee, essendo naturali e dipendenti dalla quasi immutabile forma della superficie, come sono immutabili le zone più ricche e più fertili, quindi più ambite dai popoli, ne risulta che determinate regioni sembrano dal destino essere segnate a costituire, in tutte le epoche, i campi di lotta degli uomini.
      Tutto dovendosi svolgere sulla superficie, la guerra non poteva risultare che da movimenti ed urti di linee adagiate sulla superficie stessa. Per vincere, ossia per procedere verso la zona ambita, era necessario rompere una linea di forze ed aprirsi il passaggio attraverso di essa. Poco alla volta, venendo la guerra ad impegnare tutte le risorse dei popoli in lotta, le nazioni combattenti vennero a proiettare tutte le loro forze sulle linee di combattimento, dando, a queste, estensioni sempre più grandi, finché, nella grande guerra, l'estensione di tali linee fu la massima compatibile colla superficie, giungendo a chiudere ogni possibile passaggio.
      Dietro queste linee, oltre una certa distanza da esse, distanza determinata dalla massima gittata delle armi da fuoco, la guerra non era in grado di far sentire, in modo diretto, la sua ripercussione. Oltre quella distanza non poteva giungere alcuna offesa nemica, e la vita poteva quindi trascorrere in una completa sicurezza ed in una relativa tranquillità. Il campo di battaglia veniva nettamente limitato: i combattenti costituivano una categoria a parte di cittadini, all'uopo organizzati e disciplinati: vi era perfino una distinzione legale fra belligeranti e non belligeranti.


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Il dominio dell'aria
di Giulio Douhet
De Alberti
1927 pagine 207