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      Venne pur troppo, per nostra eccessiva fiducia la catastrofe di Dogali e la strage dei nostri soldati e del colonnello De Cristofaris che li comandava; fatto che, non ostante l'esito sfortunato, contribuì più di una vittoria e far rispettare nel Tigrè e farne ammirare l'eroismo dell'esercito italiano.
      E, sotto la dolorosa impressione di quest'eccidio l'opinione pubblica fu concorde nello spronare il governo alla guerra o nell'approvarlo quando decise la spedizione di S. Marzano. Ma il triste fatto non valse ad aprire gli occhi al governo il quale, invece di lasciare mano libera ai comandanti le forze che si mandavano laggiù, volle esso stesso fissare i limiti dell'azione; ostacolandone tutte le iniziative e mal provvedendo alle loro richieste, sempre esitando dinanzi alla idea di assumere la responsabilità di una politica e di un'azione decisiva. E così siamo andati avanti a forza di piccole iniziative, le quali hanno dato sterili risultati, e finirono coll'obbligarci a dei sacrifici che necessariamente dovevano diventare non solo necessari ma urgenti, e quel che è più doloroso, non dovevano essere più sufficienti per salvarci da immane catastrofe.
      Quanti disinganni! quante amarezze, questo procedere ha costato ai nostri bravi ufficiali, a incominciare dal Saletta al Gene al Di San Marzano, al Lanza al Cagni per finire al Balbissera; i quali animati dal desiderio di portare di fronte al nemico la balda nostra gioventù con la speranza di ricondurre le nostre truppe vittoriose in Italia, per gli ordini che si mandavano da Roma si trovarono delusi, obbligati a mordere il freno, perchè con essi veniva loro impedito lo sviluppo alle operazioni militari, nei momenti più indicati dalle circostanze.


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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900
di Augusto Elia
Tipogr. del Genio Civile
1904 pagine 508

   





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