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      Con questo medesimo criterio giudicano di tutti i doveri: tutto ciò che è visibile, se non è da disprezzarsi senz'altro, va tenuto in molto minor conto dell'invisibile. Dicono che anche nei sacramenti e nelle pratiche religiose si possono distinguere corpo e spirito. Per esempio, nel digiuno non fanno gran conto dell'astinenza dalla carne e dal pasto, che il volgo considera invece digiuno stretto; bisogna che intervenga anche un controllo delle passioni, che si conceda meno del solito ai moti d'ira o di superbia, perché lo spirito già meno gravato dal corpo si innalzi al godimento dei beni celesti. Altrettanto dicasi della Eucaristia. Benché non vada sottovalutato l'aspetto cerimoniale, questo per se stesso giova poco, o addirittura è pernicioso in mancanza dell'elemento spirituale, cioè del contenuto rappresentato da quei segni visibili. Si rappresenta la morte di Cristo; i mortali devono parteciparvi come attori vincendo, sopprimendo, starei per dire seppellendo, le passioni corporee per risorgere a nuova vita, per fare, in totale comunione fra loro, tutt'uno con lui.
     
      Queste le azioni, questi i pensieri dell'uomo di fede. Il volgo, al contrario, crede che il sacrificio sia tutto nello stare quanto più è possibile accanto agli altari, ascoltando il rumore delle parole e badando ad altre quisquilie relative al rito.
     
      Quanto al pio, non solo nelle cose che abbiamo portato a esempio, ma in ogni occasione, rifugge da ciò che è legato al corpo, tutto preso dall'eterno, dall'invisibile, dalla realtà spirituale.


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Elogio della Follia
di Erasmo da Rotterdam (Erasmus Roterodamus)
pagine 124

   





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