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      Il volgere del tempo che seco trascina ed affoga le memorie dei più gravi eventi, od almeno ne attenua la ricordanza, nulla può sul culto professato per gli uomini veramente sommi, e l'ammirazione per loro, ben lungi dallo scemare, va continuamente crescendo, perchè il progredire degli studii mette in evidenza sempre maggiore l'entità della contribuzione che seppero recarvi. E valga il vero: giammai come ai nostri giorni furono in onore gli studii sopra Dante, la maggior figura del medio evo; mai come ora si moltiplicarono le indagini intorno a Leonardo, l'uomo meraviglioso che domina con la sua immensa figura due secoli; e Galileo, oggetto costante di amorose ricerche, ha avuto or ora il maggior omaggio che potesse essergli reso, con la raccolta diligente di tutta la sua mirabile produzione scientifica.
      Ma fra questi giganti può ben dirsi giganteggi la figura di un altro sommo italiano che è fra i maggiori luminari dei quali si onori il genere umano, e che, sebbene in campi meno accessibili alla generalità, ha segnate nuove vie e lasciate traccie profonde ed indelebili del suo passaggio nel mondo. Archimede, la cui grandezza raggiunge i limiti del favoloso, è senza rivali nella scoperta di verità matematiche e nel fondamento di principii fisici; si porta così avanti nelle scienze meccaniche da dover aspettare ben dieciotto secoli chi continui l'opera da lui iniziata; nume tutelare della patria, trova nel suo genio inesauribile sempre nuovi e meravigliosi espedienti per resistere all'insaziabile avidità conquistatrice della gran gente romana.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923, pagine 63

   





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