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      Afferma il Linceo Mirabella che, essendo ancor giovine Archimede, venisse ripetutamente Platone in Siracusa al tempo di Dionigi tiranno, ed avendovi introdotto lo studio delle matematiche e della filosofia, contasse tra i suoi discepoli anche Archimede, il quale sotto la sua guida avrebbe fatto progressi mirabili, ed altri ripetè la medesima cosa, non riflettendo però che quando Archimede venne alla luce, Platone era già morto da circa mezzo secolo. Sicchè questa notizia potrebbe quasi fare il paio con quell'altra di origine araba, e secondo la quale il Nostro sarebbe stato figlio di Pitagora.
      Sia stato però il padre soltanto maestro a suo figlio, o da altri ancora sia stato avviato alle matematiche, apparisce da quanto ci viene narrato che, particolarmente nella geometria, non solamente progredisse fin da principio in modo straordinario, ma altresì che ne fosse in così alto grado invaghito da trascurare per essa qualsiasi altra occupazione. Infatti, conforme riferisce Plutarco, ed è confermato da Massimo Tirio, a null'altro pensava che a questi suoi studii prediletti, e ciò di maniera che ovunque si ritrovava altro non facesse che tirar linee e disegnare figure geometriche, dimenticando talora perfino di prender cibo e di seguire quelle consuetudini che erano proprie degli uomini del suo tempo: ai bagni, per modo di esempio, non andava se non condotto quasi per forza, e non si assoggettava che a contraggenio alle unzioni che allora solevano praticarsi; eppure anche allora andava tracciando linee e figure nella cenere del vicino focolare, ed unto che fosse il suo corpo, seguitava sopra sè stesso a segnar figure col dito.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923 pagine 63

   





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