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      Altre ancora e favolose invenzioni, come ad esempio le lampade eterne intorno alle quali si continuò a discutere a tutto il decimosettimo secolo, voglionsi portato del genio d'Archimede; ma noi non vi ci tratterremo ulteriormente, chè altri e ben maggiori di quelli fin qui enumerati sono i titoli per i quali il suo nome è perpetuamente scritto fra quelli dei maggiori genii che onorarono l'umanità.
     
      III.
     
      Fra tutte le invenzioni d'Archimede dimostra, a parer di Vitruvio, maggior sottigliezza quella mediante la quale scoperse al re Gerone l'inganno di un orefice che aveva posto dell'argento in una corona che doveva essere tutta d'oro. Plutarco nel trattato contro Epicuro e le sue massime accenna soltanto al fatto, ma Vitruvio lo racconta per disteso, e questo seguiremo nel narrarlo alla nostra volta.
      Il re Gerone pervenuto al trono, e riconoscendo dalla benevolenza degli Dei i fausti eventi del suo regno, volle dar loro un segno della sua gratitudine con un cospicuo dono; chiamato perciò a sè un abile artefice gli consegnò un certo peso di oro perchè ne facesse una corona. Trascorso il tempo assegnato, l'orefice portò al re la corona che gli aveva commessa, fu riscontrato il peso corrispondere esattamente a quello dell'oro che gli era stato consegnato, e l'opera essendo stata altamente approvata fu appesa in un tempio in forma di ex-voto. Senonchè di lì a non molto, non è detto se in seguito ad una denunzia o per qualche altro motivo, si cominciò a sospettare che la corona non fosse proprio tutta d'oro e che l'orefice, trattenuta per sè parte del più nobile metallo, altro ve ne avesse mescolato fino a raggiungere il peso voluto, di che irritato il re, il quale pur non voleva che l'egregio lavoro venisse danneggiato, e manomessa in qualsiasi maniera una offerta già fatta agli Dei, invitò Archimede a scoprire se o meno l'artefice avesse commessa la frode della quale era sospettato.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923 pagine 63

   





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