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      Onde discorrendo sopra quel che più usciva fuori, ponendovi la corona, che ponendovi la massa, ritrovò il mescolamento dell'argento con l'oro, e insieme il manifesto furto dell'orefice».
      Il testo è dubbio quanto alla semplice scoperta della frode, oppure alla determinazione dell'entità di essa, ed i varii traduttori diversamente lo interpretarono, parendo non degno della sottigliezza d'Archimede e dell'espediente da lui escogitato il contentarsi del risultato per dir così qualitativo senza scendere al quantitativo; anzi Proclo Licio afferma recisamente, essere stata da Archimede scoperta la quantità dell'argento che l'orefice aveva fraudolentemente introdotto nella corona.
      Ma anche il procedimento generale, come vien narrato da Vitruvio, non fu giudicato essere stato proprio quello seguito dal grande Siracusano, ed affatto diversa è la narrazione che si legge in un poema per lungo tempo attribuito a Prisciano, la quale liberamente tradotta dice che Archimede prese una libbra d'oro e una d'argento e le pose nei piatti d'una bilancia, nei quali naturalmente si facevano equilibrio; li immerse poi nell'acqua, ma siccome in questa per il traboccar dell'oro si perdeva l'equilibrio, per ristabilirlo aggiunse un certo peso all'argento, per esempio tre dramme, dal che rilevò che una libbra e tre dramme d'argento corrispondevano ad una libbra d'oro nell'acqua. Ciò fatto, pesò la corona che doveva esser tutta d'oro, e ritrovatala, per esempio, del peso di sei libbre, prese poi altre sei libbre d'argento e queste con la corona avendo posto sui piatti della bilancia, immerse nell'acqua.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923 pagine 63

   





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