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      Ed è sommamente verosimile che attesa la stima sconfinata del re per Archimede, si sia valso dell'opera di lui nell'ideare e nell'eseguire queste opere di fortificazione le quali garantivano la città dal lato di terra come da quello del mare.
      La Pentapoli, come la chiama Strabone, aveva un ambito di 180 stadii, vale a dire di più che trenta chilometri, e componevasi di cinque parti, cinta ciascuna da forti mura e di bastioni: la più antica, l'Ortigia, chiamata impropriamente dal popolo col nome di isola, a mezzogiorno, l'Acradina a levante, Tiche e Neapoli a ponente, e più alto nella parte estrema l'Epipoli coronata dal castello di Eurialo sulle colline di dove si godeva il magnifico spettacolo del promontorio Pachino, dei fertili campi di Ibla e delle cime nevose dell'Etna. Aveva all'intorno tre porti: il Trogilo sulla costa boreale dell'Acradina, il piccolo porto chiuso tra l'Acradina e l'Ortigia, e a mezzogiorno il gran porto nel quale la cosiddetta isola prestava sicuro asilo alle navi di maggior portata.
      Tutte le parti della gran città erano cinte dalle alte mura contro le quali s'erano già infranti gli sforzi di Atene e di Cartagine: forte come cittadella era l'Ortigia, forte l'Acradina dalla parte del mare, forte l'Epipoli, ove le mura giungendo fino alle alture terminavano in un angolo formato dai fianchi convergenti del colle.
      Queste valide opere di difesa, perfezionate dalle assidue cure del re Gerone, dovevano ben presto essere cimentate a dure prove, poichè mentre all'ombra della pace fioriva il regno Siracusano, scoppiò la seconda guerra punica, ed il vecchio e saggio sovrano dopo ben cinquantaquattro anni di regno veniva a mancare quando maggiormente sarebbe stato necessario che le redini del governo fossero nelle savie sue mani.


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Archimede
di Antonio Favaro
Formiggini Editore Roma
1923 pagine 63

   





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