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      Il padre, uomo di grandissimo valore, versato nelle matematiche, ma soprattutto nelle dottrine musicali, era ridotto a mantenere la famiglia che andava rapidamente aumentando, con dare lezioni di liuto ed ingegnandosi fors'anco con la mercatura. Nella mente giovinetta del suo primogenito deve però aver saputo leggere il padre intelligentissimo se, ad onta delle disagiate condizioni, nulla risparmiò per la compiuta istruzione di lui, e dopo avervi contribuito egli stesso fin dove poteva nelle discipline letterarie e musicali, apprendendogli inoltre il disegno e la prospettiva, gli fece udire da un padre Vallombrosano i precetti di logica, cioè di quella parte elementare della filosofia che, secondo il costume del tempo, intendeva ad addestrare piuttosto nell'arte del discutere che in quella del ragionare. Pare anzi, e costituisce tal nota singolare nella biografia di Galileo da non potersi passare sotto silenzio, che questi insegnamenti di logica egli li abbia ricevuti proprio nel monastero di Santa Maria di Vallombrosa, dove, e certamente contro la paterna volontà, avrebbe anche vestito l'abito di novizio. Lo depose ad ogni modo poco più che quindicenne, nè, per quanto ci è noto, a questo episodio accennò mai in alcuna circostanza della sua vita; sicchè noi ne saremmo completamente all'oscuro se il fatto non fosse affermato in una cronaca di quell'ordine religioso, e soprattutto non ne trovassimo espressa menzione in un processo svoltosi pochi anni dopo e nella occasione del quale un anonimo che, a quanto sembra, aveva motivo di dolersi delle disposizioni testimoniali di lui, esce a dargli del "frate sfratato".


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Galielo Galilei
di Antonio Favaro
Bietti Milano
1939 pagine 58

   





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