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      Bella, ma forse unica, eccezione a questa animosità dei colleghi, faceva Iacopo Mazzoni da Cesena, legato in amicizia col padre di lui; con esso Mazzoni attendeva il giovane professore a studiare, ad imparare, apparecchiandosi a dare qualche nuovo saggio dei risultati ai quali la mente altissima ed i forti studi di cui si era nutrito dovevano condurlo.
      La scienza del moto faceva parte dell'antica fisica peripatetica e costituiva un campo che i filosofi stimavano ad essi esclusivamente riservato. Contro i canoni che n'erano stimati fondamentali, cioè divisione dei corpi in leggeri e pesanti, velocità di caduta dipendente dal peso, distinzione dei moti in naturali e violenti, azione dell'aria favorevole al moto ed altri consimili s'erano levate bensì voci poderose, ma quasi senza effetto, poichè, se anche non possa dirsi che fossero soffocate dall'autorità degli insegnanti dalle cattedre primarie, questi però seguivano imperturbabilmente la loro via.
      Il fatto delle esperienze sulla caduta dei gravi eseguite dall'alto della torre di Pisa, per dimostrare le nuove verità alle quali era pervenuto, è dal Viviani, il quale deve averlo raccolto dalle labbra istesse di Galileo, affermato in modo così sicuro ed esplicito da non potersi revocarlo in dubbio, e tanto meno recisamente negare perchè non se ne trova conferma in altri documenti contemporanei. Scrive egli infatti che, con gran sconcerto di tutti i filosofi furono da esso convinte di falsità, per mezzo d'esperienze e con salde dimostrazioni e discorsi, moltissime conclusioni dell'istesso Aristotele intorno alla materia del moto, sin a quel tempo tenute per chiarissime ed indubitabili; come tra l'altre, che le velocità de' mobili dell'istessa materia, disegualmente gravi, movendosi per un istesso mezzo, non conservano altrimenti la proporzione delle gravità loro, che anzi si muovon tutti con pari velocità, dimostrando ciò con replicate esperienze, fatte dall'altezza del campanile di Pisa con l'intervento degli altri lettori e filosofi e di tutta la scolaresca; e che nè meno le velocità di un istesso mobile per diversi mezzi ritengono la proporzione reciproca delle resistenze e densità dei medesimi mezzi, inferendolo da manifestissimi assurdi che ne seguirebbero contro al senso medesimo.


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Galielo Galilei
di Antonio Favaro
Bietti Milano
1939 pagine 58

   





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