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      Festose furono le accoglienze ch'egli ebbe in Roma, dove, dopo aver fatta la Pasqua in Perugia ed essersi soffermato per due settimane presso il principe Cesi in Acquasparta, giunse il 23 aprile 1624; nel corso di circa sei settimane durante le quali rimase nella città eterna, ebbe ben sei udienze dal Pontefice, ne ricevette un quadro, indulgenze, medaglie, agnusdei, un breve onorevolissimo e promesse di pensione; ma in quanto alla opinione del Copernico, in risposta ai timori dei pericoli che avrebbe corsi la Fede, qualora la condannata dottrina risultasse essere la verità istessa, la sola espressa dichiarazione "che non era da temere che alcuno fosse mai per dimostrarla necessariamente vera".
      Se tuttavia potè dirsi fallito lo scopo precipuo di questo viaggio, convien credere che Galileo, il quale non di rado si faceva delle illusioni da ottimista in tutto ciò che grandemente gli stava a cuore, n'avesse ritratta la convinzione che il decreto proibitivo non sarebbe stato mantenuto in tutto il suo rigore; e perciò, poco dopo tornato da Roma, si fece animo a rispondere a Francesco Ingoli, il quale otto anni prima aveagli indirizzata una confutazione del sistema copernicano: e nella sua illusione dovette maggiormente confortarlo il sapere che la sua risposta, fatta correre manoscritta, era stata letta e grandemente gustata dallo stesso Pontefice.
      Queste medesime e non infondate speranze lo inducevano a riprendere quel lavoro massimo, intrapreso negli anni giovanili, già annunziato al Keplero, promesso anche nel Sidereus Nuncius e nel Discorso sulle galleggianti, più volte sospeso, ma non mai abbandonato, nel quale con i sussidii della nuova astronomia, e di tutte insieme le scienze naturali, la incontestabilità della dottrina del moto della terra doveva essere con tutta evidenza dimostrata: e pochi mesi dopo tornato da Roma ne annunziava agli amici anche il titolo che doveva essere: Dialogo del flusso e reflusso.


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Galielo Galilei
di Antonio Favaro
Bietti Milano
1939 pagine 58

   





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