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      Nelle condizioni infelicissime alle quali si trovava ridotto potè Galileo sperare che il Sant'Uffizio, o, per dir più esatto, il Pontefice fosse per venire a più miti consigli, e ripetè perciò l'istanza di liberazione; ma dopochè l'Inquisitore accompagnato da un medico forestiero suo confidente l'ebbe visitato, e riferito che è "tanto mal ridotto, che ha più forma di cadavero che di persona vivente", gli si concedeva soltanto di trasferirsi dal Gioiello (così si chiamava il villino d'Arcetri da lui abitato) ad una casa ch'egli aveva comperata per il figliuolo sulla Costa di San Giorgio, vicinissima alle mura della città, per curarsi delle sue indisposizioni. E tanta era la strettezza nella quale, nonostante le miserrime condizioni di salute, era tenuto, ch'ebbe bisogno d'un permesso speciale dell'Inquisizione per potersi recare in una vicina chiesetta ed ivi adempiere l'obbligo pasquale.
      Nei primi mesi dell'anno 1639 aveva Galileo presentata una nuova supplica al Papa; non ci è noto che cosa egli chiedesse; questo solo sappiamo che Urbano VIII tutto inesorabilmente rifiutò, benchè da più tempo fosse ormai fatto certo della falsità dell'accusa che aveva determinato quel suo così gagliardo risentimento. Da allora in poi null'altro chiese Galileo: ritirato definitivamente nel villino d'Arcetri, ch'egli chiamava suo "continuato carcere ed esilio dalla città", visitato da pochi amici e da qualche straniero mosso, come il Milton, dal desiderio di vedere l'augusto vegliardo, non attese più che agli studi ed alla corrispondenza scientifica la quale, ancora in questi ultimi suoi anni conserva la freschezza, la copia e la vigoria dell'età sua giovanile.


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Galielo Galilei
di Antonio Favaro
Bietti Milano
1939 pagine 58

   





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