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      Se nel mio spirito ogni oggetto cede sempre alla possibilità di un oggetto superiore, se posso sempre concepire un'opera che oltrepassa le opere che mi circondano, se posso ideare l'ente perfetto all'infinito, la mia concezione resta sempre nei limiti dei generi. Io posso supporre un letto perfetto all'infinito, una persona bella all'infinito, un uomo savio all'infinito, e in ogni genere un essere che riassume all'infinito la perfezione del genere. Finchè rimango nel genere idealizzo gli esseri, quando voglio riunire in un solo essere la perfezione di molti generi, le forme si confondono, non vedo che mostri, e se voglio poi riunire le perfezioni di tutti i generi, il mio spirito si turba, la natura cade nel caos, l'essere eminentemente perfetto è si strano, che dispare nell'istante stesso in cui ne parlo, si nega da sé nell'atto stesso in cui lo affermo. Chi potrà dire che cosa è l'essere eminentemente perfetto in tutti i generi, in tutti i contrari, nel bene e nel male, nella forza e nella debolezza, nella bellezza e nella laidezza, nella grandezza e nella piccolezza? Ci vien risposto che il male, la debolezza, la laidezza, la piccolezza sono imperfezioni; le si vogliono soppresse, ci si impone di non riunire se non le perfezioni. Or bene cederemo, eviteremo l'imperfezione, purchè ci sia data la regola per distinguerla dalla perfezione. Dov'è dunque la perfezione? dov'è il bene? nel fatto della natura o nella intenzione dell'uomo? La natura sacrifica l'uomo alle sue razze animali, alla sua sfrenata vegetazione; l'uomo sacrifica le razze animali, le vegetazioni, la natura al suo proprio destino.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693