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      L'apparenza della giustizia ci è data evidente quanto le altre apparenze. Però anche l'interesse esiste, nasce colla vita, la ispira; ci vuole una ragione, un motivo per sottometterlo al dovere, e questo motivo ci manca.
      Obbediremo noi al dovere per procacciarci le soddisfazioni della moralità, per risparmiarci la pena del rimorso o della vergogna? Qui il dovere si degrada, cade nella classe dei nostri interessi; qui non si evita il vizio che per evitare un dolore, non si cerca la virtù, ma il contento della virtù. Il dovere non è più che un bisogno, come la fame; vien governato dall'interesse, il quale non ci obbliga, ci lascia liberi, ammette la varietà dei piaceri, nè pretende imporci alcuna soddisfazione. Dunque è lecito ad ognuno di seguire il proprio istinto: l'ambizioso cerchi il successo, il giusto porti la croce, a ciascuno il suo capriccio. Le vespe vivono di frode, le api di lavoro.
      Se il sentimento del dovere fa vergognare quelli che gli resistono, se rode col rimorso, anche l'interesse trae al suo seguito una legione di pentimenti e di dolori; anch'esso ci punisce col suo rimorso, e si vale della vergogna per farsi obbedire. Guardate ai fatti: quella fanciulla geme, le pesa la sua virginità; quel re è afflitto, ha commesso l'errore d'esser giusto; quel generale è dolente perchè non fu perfido; quel ministro è infelice, vorrebbe aver violata la fede. Tito era mesto il giorno in cui non era stato benefico; il condottiero Gabrino Fondulo moriva disperato per non aver morto il papa e l'imperatore quando li aveva ospitati a Cremona.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





Gabrino Fondulo Cremona