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      Dov'è dunque il bene che devesi preferire? Nella giustizia o nell'interesse? Ecco il problema: dinanzi all'interesse la giustizia non ha valore; dinanzi alla giustizia è l'interesse che non lo ha: la giustizia e l'ingiustizia intervertono a vicenda la nozione del valore. Del resto, l'intelligenza, per parlare con precisione, non determina i valori; ma accetta, afferma la stima fatta dal desiderio, dall'istinto, dalle passioni; togliete i miei dolori, i miei piaceri, la mia intelligenza perderà le nozioni stesse del bene e del male; per essa i beni non hanno valore, essa non ha motivo di preferire la gioia all'afflizione, o il destino del genere umano al destino d'un grano d'arena. Concediamo che l'intelligenza possa scegliere il bene, concediamo che l'intelligenza scelga il dovere come il migliore dei beni, l'intelligenza divien folle; ci dice che il sacrificio è un bene, che il dolore è un piacere; inventa la gioia del soffrire, il contento della disperazione, una felicità equivalente ad una sventura. Poi questa sciagurata felicità non è ancora la virtù; offerta come un bene, condurrebbe ad un egoismo altiero, fantastico, ad una vita orgogliosamente impossibile. Essa lotta contro l'istinto, contro il cuore; ci fa rinunciare alla famiglia, alla patria; finisce con l'interventire i sentimenti sotto pretesto di perfezionare l'uomo lo rende immorale. Diffidiamo delle virtù che escono da un sillogismo.
      Con un nuovo tentativo si vuol rendere positiva e reale la vuota felicità della giustizia degli stoici, consigliando di porre il bene supremo in Dio, ed esigendo il sacrificio di tutti i beni effimeri dell'interesse.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





Dio