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      Così la sensazione, criterio preso nel seno della natura, ci conduce a disprezzare la logica, siccome cosa frivola ed inutile. Volendoci far conquistare la materialità del fatto, ci fa perdere il principio che lo giudica; ci immerge nella natura, e ci lascia senza luce.
      Lo stesso deve dirsi di tutti i criteri empirici. Scegliamo l'ispirazione: se essa fosse il criterio della verità, ogni idea dal sentimento suggerita sarebbe vera, ogni entusiasmo sarà sacro; ogni settario sarà infallibile. Quindi la fede del Buddista inviolabile come quella del Cristiano: il fanatismo sacrificatore di una casta sacerdotale, rispettabile come la tenera affezione della madre per il figlio. Quindi tutti i dogmi saranno veri, tutti i sentimenti saranno giusti; quindi non si terrà conto delle innumerevoli contraddizioni che li separano, che li oppongono gli uni agli altri; quindi si dovrà disprezzare la logica: e da ultimo, il principio preso nella materia della logica darà per conseguenza inevitabile la guerra contro la logica.
      Alla sua volta il criterio dell'autorità, preso anch'esso nella materia della logica, si rivolta contro la logica. Che l'autorità sia fissata da un libro, da un pontefice, dalla maggioranza o dalla unanimità del genere umano, l'autorità è sempre un fatto, una cosa empirica presa nel seno della natura. Dal momento che l'autorità è costituita giudice del vero, la ragione perde ogni diritto, la dimostrazione ogni forza; non è più lecito parlare a nome della logica. Havvi di più: il regno dell'autorità, preso al di fuori della logica, si lascia intervertire in tutti i sensi.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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