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      Pure il nostro metodo non č il metodo di Aristotele, nč quello di Bacone, nemmeno quello di Reid; se questi filosofi annunciavano un principio vero, pure non sapevano, non potevano farlo valere.
      Per soffermarsi al fenomeno bisogna conoscere il momento in cui si sta per oltrepassarlo, il momento in cui la logica ci trascina nel suo vortice; in altri termini, bisogna conoscere la critica e sapere che il fenomeno č assurdo nella sua essenza, nella sua origine, nelle sue trasformazioni, nelle sue combinazioni. Chi ignora la critica, incomincia a dare dimostrazioni legittime, fisiche; l'equazione e la deduzione scoprono in qualche modo la contraddizione: allora il filosofo resta sorpreso e sconcertato.
      Che importa il predicare l'osservazione quando si ignorano tutte le insidie che l'attendono? Non havvi filosofo che non voglia fondarsi su alcuni fatti presi in un punto qualsiasi della rivelazione, e da lui dichiarati non doversi dimostrare. Ma quando la critica č ignorata, i fatti che il filosofo adotta trovansi, per cosė dire, sfidati a dare l'equazione dell'universo, sono fatti primi, universali, e ne risulta che devono spiegare o contraffare ogni cosa e ogni pensiero. Cosė Aristotele non vuole dimostrare nč la materia, nč il moto, nč l'essenza, nč il fine: e nondimeno, assumendo questi fatti come primitivi, li trasforma in principj primi d'ogni essere; deve derivarne la costituzione delle cose; dunque cerca in essi e per essi l'equazione di tutti i fatti; dunque lascia il terreno dei fatti nel tempo stesso in cui si propone di rimanervi; dunque i suoi quattro principj devono essere eguali al tempo, allo spazio, all'alterazione, alla vita, alla morte, ec.; dunque ogni essere deve scomporsi e ricomporsi in modo da obbedire alla matematica dei quattro principj.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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