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      Negando le conseguenze della logica sottoposta alla rivelazione, cadiamo, non più in una contraddizione critica, ma in una contraddizione positiva, che ci rende insensati. Se affermasi che un albero è nel tempo stesso a Parigi ed a Vienna, l'albero, il fenomeno è materialmente distrutto; la contraddizione lo rende positivamente impossibile, l'impossibilità distrugge persino l'apparenza.
      Possiamo tollerare la contraddizione critica; essa è insolubile, eterna, senza uscita, senza speranza; pure essa è senza risultato; trovasi nella natura, vi resta, noi l'imputiamo alla fatalità. Al contrario la contraddizione positiva è in noi, l'imputiamo a noi stessi, non è mai nella natura. Nella natura il fenomeno non cambia se non per dar luogo ad altro fenomeno; l'apparenza succede alle apparenze; se il gelo scompare, l'acqua appare; se l'acqua svanisce, diventa vapore; che se il vapore si annullasse, gli succederebbe almeno la nuova apparenza del vuoto. La rivelazione è una cosa o l'altra. Ignorate voi se quel fenomeno è tale o tal altro, se quel punto che appare all'orizzonte è nave o scoglio, accusate voi stessi; sarà nave o scoglio. Che se voi vi trovate a fronte di contraddizioni critiche, l'affermazione e la negazione sono contemporanee, coesistenti negli oggetti, i quali saranno finiti e infiniti, possibili e impossibili. Accusate la natura, siete giustificato.
      Accusandoci, la contraddizione positiva diventa intollerabile, ci opprime, ci rende insensati e ci costringe a cercarne la soluzione.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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