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      Egli non poteva trovare la scienza nell'ente della scuola di Elea, nè fuori dell'ente, nella natura. L'ente della scuola di Elea sopprime la distinzione delle cose, nega l'oggetto stesso della scienza; dandoci una verità, distrugge tutte le altre verità, distrugge la scienza. D'altra parte, la natura è inconsistente, si muta e rimuta, non mai è quella che è, e di ciò che si áltera non havvi scienza. Così Platone trovavasi tra l'antinomia dell'ente e quella dell'alterazione, credeva che le due antinomie fossero illusioni della mente, imputavale ad un proprio errore, non poteva tollerarle, ne ignorava l'origine e l'universalità; quindi doveva cercar un'uscita come se fossero problemi solubili. Il genere gli apparve come la terra promessa della scienza; i generi erano inalterabili come l'essere, distinti come gli oggetti; e sembravagli che, impossibile nell'essere, impossibile nell'alterazione, la verità si liberasse coi generi da ogni contraddizione.
      Tutto il sistema esce dai generi che distinguono e specializzano le verità assorbite dalla verità dell'ente, onde poi generare la diversità e la varietà delle cose naturali. Ne risulta che il genere presso Platone cessa di essere un'apparenza; dovendo spiegare ogni cosa, diventa più vero dell'essere, più vero degli oggetti, diventa un principio metafisico. Vien dotato di un'esistenza privilegiata; esiste per sè; due generi, il piccolo e il grande, creano la materia, altri generi formano gli esseri della natura disegnati sul velo matematico, mutabile e variabile della materia.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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