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      Fu dunque spogliata la materia di tutte le qualità; le si tolse persino la quantità determinata e invariabile, e s'inventò una nuova materia in nessun modo materiale, che fu confinata tra il non essere e lo spazio, come un'astrazione, come una mera possibilità. L'equazione dell'universo doveva trarsi da altri principj, dai tipi, dalle essenze, da Dio. Giusta Platone, la materia è la combinazione del grande e del piccolo: Aristotele la definì il non-essere in atto, e l'atto in potenza; l'assioma che nulla nasce, nulla perisce, fu trasferito agli altri principi, ai tipi, alle essenze, a Dio; quasi non restò alla materia altro officio se non quello di render possibile la distruzione e la morte. Se i corpi si dissolvono, se gli esseri si corrompono, in sentenza di Aristotele e di Platone, si è che sono uniti alla materia, corrosi dal nulla; questo nulla li rende visibili, pure li condanna dall'origine a scomparire per ritornare alle loro regioni invisibili, in cui nulla nasce, nulla perisce. Tale fu la materia per il corso di duemila anni; indigente, avida d'una forma per apparire, ridotta alla mera inconsistenza, alla condizione per cui le forme possono scomparire, essa non contò per nulla; la fisica venne compiutamente soverchiata dalla metafisica. I fenomeni sono governati dall'astrazione; ciò che appare da ciò che mai non appare; l'invenzione è surrogata ai fatti, vivesi nel mondo del peripatetismo, frammisto qualche volta al platonismo.
      Nel decimosesto secolo la critica riprende il suo impero.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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