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      Ma l'essere, quest'idea che giunge la prima nel mio pensiero, non può venire interamente padroneggiata; non havvi termine alcuno concepibile che possa adeguarla o pareggiarla. In noi e fuori di noi, principio primo dell'identità, dell'equazione e del sillogismo, contiene tutti i fenomeni reali, ma contiene anco il possibile, essendo impossibile di eguagliarlo e di scoprire una natura che possa riempierlo. Parliamo come se l'affermazione fosse una equazione tra l'essere e le cose affermate, mentre non fa che ravvicinare due termini riuniti dalla natura; parliamo come se l'affermazione fosse necessaria, mentre è contingente; come se l'affermazione fosse universale, mentre è sempre relativa a noi. Di là l'errore che incomincia dove comincia la dissidenza tra la logica e la natura, cioè nell'atto stesso del giudicare, che la logica desidera matematico, e che la natura vuole arbitrario.
      In qual modo sopprimere il dissidio tra la logica e la natura? Possiamo combatterlo in due modi: possiamo lottare cercando l'identità, l'eguaglianza, la deduzione tra i due termini d'ogni giudizio; vi abbiam diritto, siamo autorizzati ad esigere che ogni pensiero divenga logico e ragionevole: questa è la via più naturale, ed essa conduce alla metafisica, e quindi all'assurdo. D'altra parte, possiamo sforzarci di specializzare l'essere in tutti i minuti particolari della creazione, quasi che sia dato agli stessi particolari di riempirlo, di adeguarla, di equipararlo. Questa è la via dell'assurdo, e conduce alla scienza: cercando d'esaurire l'infinito, di vederne tutte le possibili manifestazioni, si esplora il creato, il rivelata in tutta la sua estensione.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693