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      La parola non è forse la prima di tutte le condizioni della società? La stessa parola suppone la società, suppone la parola, essendo il linguaggio necessario all'invenzione del linguaggio. Istessamente, la società non può essere dedotta dalla volontà dell'uomo: corrisponde essa ai nostri bisogni? Ci resta a sapere se i nostri bisogni hanno creata la società, o se la società ha creati i nostri bisogni; se la società è figlia de' nostri istinti, o se ha falsato i nostri istinti. Il selvaggio la respinge con orrore; per lui la società è una servitù senza limite, i nostri campi sono luoghi di pena, in cui l'uomo è avvinto alla terra come il bue, le nostre città sono prigioni, le nostre scuole sono fabbriche dove si preparano le catene della civiltà; invece per l'uomo incivilito è lo stato selvaggio che ci rende servi, la società emancipa, la libertà nasce sui campi coltivati, nelle città popolose; il ben essere è ben creato e governato da quella dura disciplina della scienza che il selvaggio respinge qual tortura. L'incivilimento è desso un bene o un male? il pensiero è desso il privilegio naturale, o la malattia artificiale dell'umanità? Ecco il dilemma; è il dilemma di Tacito quando opponeva i Germani ai Romani; di Machiavelli quando opponeva la Svizzera all'Italia; di Rousseau quando opponeva la natura primitiva alla civiltà; di tutti gli uomini quando vogliono optare tra la pace e la guerra: di tutti i filosofi che vogliono interrogare il possibile per sapere se la natura doveva essere più avara d'uomini o più prodiga di viveri, onde non costringerci a combattere l'indigenza coll'associazione forzata e sanguinosa dell'incivilimento.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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