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      Ma potrebbesi domandare se la socievolezza, invece, di essere la causa della società, non ne sarebbe piuttosto l'effetto. Trascuriamo questa obbiezione. La società non è una greggia, non un semplice adunarsi d'individui; essa è ordinata, i suoi lavori s'intrecciano, le sue funzioni si suppongono, formano un tutto unico e indivisibile: potrebbe l'ordine esser generato da un fortuito incontro? D'altronde, la sociabilità delle gregge è ciecamente benevola: ma l'uomo non è sempre benevolo per l'uomo; nella società cerca onori, vantaggi: nella più innocente brigata non ride se non deride; si sollazza alle spalle degli assenti, non è contento se non domina i suoi eguali. L'uomo è nemico dell'uomo, viaggia armato, chiude la sua casa con ispranghe di ferro; le città sono circondate di bastioni; i popoli assicurano la pace addestrandosi alla guerra. Tra gli animali non hannovi dispute di onori, di precedenze; l'interesse pubblico e l'interesse privato trovansi d'accordo; il pensiero dell'animale non è novatore, non sedizioso; ma la lingua dell'uomo è una tromba di guerra. Il legislatore imagina profonda perversità nei cittadini, si studia prevederne tutti i delitti, contrappone il terrore alla astuzia; la sua legge può essere santa, non può essere innocente. Noi tutti, per renderci tollerabili gli uni agli altri, dobbiamo dissimularci, illuderci a vicenda colle regole della decenza, della creanza, della prudenza; non è lecito di palesar tutto il pensiero; guai alla cieca confidenza; maledictus homo qui fidit in homine.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693