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      Giusta Descartes, il ridicolo dipende da un sentimento di superiorità; chi ride domina il deriso: la è cosa certissima: la fatuità è beffarda, il celiatore di spirito non ride mai, i più arguti epigrammi suppongono una mente tranquilla e imperturbabile. Però sarà sempre vero che il sentimento della nostra superiorità e il sentimento comico non possono confondersi, nè tradursi l'uno nell'altro, nè ammettere una medesima definizione. In sentenza di Kant il ridicolo sarebbe un'aspettativa fallita. Dopo aver posto il bello nella finalità Kant deve definire il ridicolo come un difetto subitamente scorto nei mezzi incapaci di raggiungere uno scopo. Qui ancora l'aspettativa può essere ingannata, senza che il ridicolo si manifesti: v'hanno di goffe indecenze che muovono a riso e stanno. nell'ordine, non ingannano alcuna aspettativa, ed anzi raggiungono uno scopo naturale.
      Torna vano ogni tentativo per cercare l'equazione del ridicolo: ogni fatto esterno tende a confonderlo o coll'indecenza o col vizio o coll'errore; e una volta identificato coll'indecenza, col vizio o coll'errore, vien negato quando appare sotto la vera sua forma.
      Esaminato nel suo mistico apparire, il ridicolo nasce nell'istante in cui la rivelazione vitale e la rivelazione esterna cessano di essere correlative, cioè nell'istante in cui un sentimento vien accoppiato con un'azione che non gli corrisponde. Qual'è il modo più facile e più spedito di far ridere? Si è il travestirsi: il mascherarsi eccita l'allegria, e trae la sua forza comica dal disaccordo tra la maschera e la persona.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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