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      Nella sua coscienza ogni popolo tiranneggiato deve accusare la propria corruzione. Vuole osservare sè stesso qual mero spettacolo di vitalità? Può accusare il clima, la tradizione, il governo, la conquista, tutto, fuorchè la sua volontà, figlia delle circostanze che la fanno nascere. Sarebbe questa una contraddizione? Sì, quando si voglia passare matematicamente dal mondo reale al mondo morale; no, se vien rispettata la misteriosa distinzione che ha sottoposto i due mondi a due leggi contrarie. Ogni atto è moralmente libero e fisicamente fatale: per la logica lo stesso atto, come libero e non libero si palesa assurdo. Ma qual'è quest'assurdo? Quello che vieta agli oggetti di mutare, di subire le leggi contrarie dell'atomismo e della chimica, della chimica e dell'organismo, dell'organismo e del pensiero; se si ascolta la logica che dichiara impossibile l'azione moralmente libera, fisicamente fatale, bisogna negare, in Un colla libertà, tutte le cose della natura e tutti i pensieri dell'uomo. E così, la libertà appare, dunque esiste: non appare se non nel mondo morale, dunque rimane nella sfera della morale.
      Il merito segue la sorte della libertà. Posto il sentimento della libertà, sentiamo le nostre azioni libere e spontanee; intuita la libertà ne nostri simili, più non possiamo considerarli come automa. Qualunque siano le nostre teorie, le nostre convinzioni, noi non possiamo rimanere indifferenti all'ingiuria e all'elogio; la rivelazione morale ci sforza a stimare o a disprezzare i nostri simili.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693