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      Se io credo ad un Dio vendicatore, che minaccia eterne pene, questo Dio, queste pene, queste due realtà costituiscono il mio interesse supremo, e mi dettano tutti i miei doveri: io son servo della religione, non posso più trascurare la più frivola delle sue pratiche. Che se il buon senso si desta in me, e m'apprende che il Dio vendicatore e le pene infinite dell'inferno son sogni di secoli barbari, il nuovo dogma costituisce un'altra morale, che sarà quella dei naturali interessi.
      Quanto si dice del vero può applicarsi al principio dell'ordine. L'ordine è il calcolo dell'interesse, l'interesse pone lo scopo, la ragione determina a mezzi per raggiungerlo: questo è l'ordine. Per sè, l'ordine non è la morale; è un calcolo; havvi l'ordine nel bene, come nel male; nella libertà, come nella tirannia. Ma l'interesse naturale pone lo scopo, sceglie il suo bene, l'ordine suo; e questo fissa e determina i doveri. In questo senso si può dire che, tolto l'ordine, la moralità scompare. In questo senso dobbiamo ripetere con Socrate: «Esser più morale lo scellerato che scientemente viola la legge, che non l'innocente il quale obbedisce ignorandola».
      Opera di scienza e di poesia, la morale resta sempre sempre interessata ed ascetica: in ogni rivoluzione la morale ci si affaccia sotto due aspetti, la sua legge è sempre interpretata da due rivelatori: l'uno valuta l'interesse, l'altro spiega il dovere. L'uomo dell'interesse è preciso, categorico, ama la vita, l'esprime liberamente; è ironico, imperativo, positivo, poi facile alle transazioni poichè vuol vivere.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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