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      Se la prole non esiste, la perpetuità del matrimonio è tirannia gratuita; se v'hanno figli e se i figli non valgono a tenere imiti i coniugi, la legge deve riconoscere la propria impotenza, e rinunziare ad una lotta disperata e scandalosa contro la spontaneità dell'amore.
      In secondo luogo, chi sarà il capo della famiglia? Il capo rivelasi nell'uomo, l'uomo si sente più operoso, più forte, più giusto, la donna si sente sommessa, riservata, pudica. La legge deve accettare questa dualità per fare dell'uomo l'amministratore della famiglia. La società deve preferirlo, non per costituirlo padrone, ma per avere un delegato risponsabile della famiglia dinanzi alla comunanza che non può assorbirla. Quanto era barbara ed impotente l'antica comunanza, altrettanto era barbara ed assoluta la potenza del marito. Svanì l'autorità maritale degli antichi, potrà diminuire la nostra; non v'ha mezzo per lottare contro la debolezza del sesso, contro il predominio fatale degli affetti femminili, contro la necessità di dare un rappresentante alla famiglia. Respingiamo quindi la metafisica di Platone, di Campanella e di Saint-Simon, che eguagliavano il marito alla moglie, e predicavano l'emancipazione della donna. Il termine medio della pretesa eguaglianza era la ragione; termine vuoto; che passava dall'uomo alla donna, dimenticando l'uomo e la donna, trascurando il sesso che nella nostra specie comprende tutta la persona; penetra nel pensiero, determina nella rivelazione morale una dualità ineffabile e incontestabile.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





Platone Campanella Saint-Simon