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      Rousseau vuol chiamare tutto il popolo ai comizi, lo vuol padrone de' propri interessi, lo vuol diffidente d'ogni suo commesso; e il vero popolo gli sfugge occupato dall'industria, dalle arti; sparso su vaste regioni, il popolo deve delegare i poteri, darsi un governo, forse un tiranno, certo un tiranno giuridico, e poi sempre a soggiacere alla tirannia giuridica della maggioranza. Rousseau vuol combattere la chiesa, che sovverte lo Stato, che santifica i re: e qui ancora l'antinomia lo afferra, perchè la religione maledetta dal metafisico è la religione del popolo; Rousseau esita, vorrebbe una religione tirannica per dominarla, non vuol l'empietà, è vinto dall'astrazione; e diventa hobbesiano. Poi l'infelice vien meno nell'alta regione della sua patria astratta; di là vede che i cittadini degli Stati d'Europa non possono stare permanenti ne' comizi, che il popolo combatte pei tiranni, che la religione combatte i cittadini, e quindi infrange il suo proprio lavoro, la sovranità metafisica proclama lo stato di natura. Hobbes aveva detto: o il mio despotismo o lo stato di natura: Rousseau spaventò i tiranni, scegliendo lo stato di natura, che reputavasi impossibile. Lo stato di natura? Sì, il cuore del metafisico lo presentiva, la rivoluzione era imminente, lo stato di natura era quello in cui l'umanità doveva dominare ogni Stato; ma doveva uscire dalla rivelazione, non dalle contraddizioni del contratto: doveva nascere come nacque il cristianesimo, e non sorgere a soluzione delle contraddizioni eterne.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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