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      Istessamente ogni Stato eredita dai suoi primordi la forza, che lo fa essere e stare qual'è. Questo appare, nè può essere negato. In pari tempo l'idea di affidare il governo ai migliori è contemporanea del regno della forza, è l'idea di tutti i popoli; non havvi tribù in cui non siasi manifestata. Tra i selvaggi il capo è il primo de' guerrieri, il più ardito nella battaglia, il più savio nella pace. Alla China l'imperatore è figlio del cielo; i libri sacri gli attribuiscono tutte le virtù, egli è padre de' popoli, tutte le sue azioni predeterminate dalla legge; esse devono sempre rappresentare l'autorità paterna nella esaltazione più religiosa. Nel Perù il capo degli Incas prometteva di regolare il corso delle stagioni, e, ministro del cielo, sosteneva sulla terra la parte di un Dio. Presso i Musulmani, in Egitto, nell'India, nel Tibet, spetta alla teocrazia il consacrare il sovrano: tutte le caste dell'antichità discendevano dal cielo; quelle del medio-evo erano santificate dalla chiesa. Separandosi dalla chiesa cattolica, i re protestanti si sono dichiarati pontefici; lo czar è in pari tempo papa e imperatore. Non è da credersi che il censo o l'eredità, scegliendo il sovrano, neghino il principio di scegliere il più degno; il censo e l'eredità sono mezzi rozzi di cui già si serviva la società per eleggere i migliori: non si abbandonava al caso della nascita se non per evitare l'anarchia di una scelta migliore, riputata impossibile. La giustizia appare adunque quanto l'utile e indivisa dall'utile.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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